giovedì 2 aprile 2009

NUMI TUTELARI Di Maria Luisa Biancotto (28/03/2009)

Il monumento alle “Due Carrare” è l’opera prima realizzata da Alessandra Urso per una committenza pubblica: indubbiamente un riconoscimento importante, ma anche una considerevole sfida. L’artista ha affrontato l’impresa con l’energia, la passione che mette in ogni nuova creazione, con grande perizia e tranquillità. Prova di maturità conseguita attraverso il paziente esercizio della propria capacità espressiva, comunicativa, organizzativa, che l’ha portata, lungo il suo itinerario, a esplorare tecniche e linguaggi differenti, a cimentarsi in molteplici ruoli, a coltivare lo studio, la ricerca, in sintonia con le proprie istanze intellettuali. A trasfonderle infine nella scultura, che si conferma ambito congeniale alla sua piena realizzazione artistica e personale, e ha motivato, dalla metà degli anni ’90, la sua decisione di dedicarsi in modo esclusivo all’attività artistica, come professione. Le ha giovato anche il tirocinio presso varie fonderie in particolare presso la Caggiati Fonderie Artistiche di Parma, con cui ha avviato dal 2000 un’intensa collaborazione, producendo opere funerarie, monumentali e religiose per una vasta committenza privata. Fra queste, tre sculture sacre destinate alla cattedrale di Capo d’Orlando a Messina, una statua donata alla Fondazione Levi Montalcini e un’altra per il Museo Apple di Quiliano (SV). Figlia d’arte, ha pure fatto tesoro degli insegnamenti paterni, insieme con quelli di altri maestri della scultura, in primis Alfredo Baracco. Ha accolto dunque la proposta della municipalità di Due Carrare di realizzare un monumento per celebrare la fusione (avvenuta nel 1995) tra le due città sorelle, Carrara San Giorgio e Carrara Santo Stefano, che hanno in comune vocazione economica, popolazione, storia e tradizioni. Ha cominciato con la stesura dei progetti, la produzione del bozzetto: come idea guida ha immaginato che, al pari delle antiche poleis greche, le due Carrare fossero presiedute ciascuna da un nume tutelare; un giorno le due divinità avessero deciso di incontrarsi a metà strada, all’incrocio delle rispettive vie, e, sedute su un pianeta, di vigilare insieme sulle due popolazioni unite. L’immersione nel lavoro è stata per Alessandra un’esperienza assoluta, totalmente coinvolgente ed esaltante. Il risultato è stato il leggiadro monumento che oggi possiamo ammirare sulla rotonda davanti al municipio, alla confluenza delle due strade che provengono da Carrara San Giorgio e Carrara Santo Stefano e di quella che conduce all’autostrada. È un’opera che sorprende per la dolcezza, la morbidezza del tratto, per il movimento dei suoi elementi, il dinamico equilibrio che la costituisce, per il gioco di linee contrapposte, l’incastro dei pieni e dei vuoti, che la alleggerisce, per la levigatezza delle superfici capace di trarre dalla lega del bronzo la massima lucentezza e quei riflessi caldi, dorati che hanno reso questo materiale antico il più amato dalle grandi civiltà del passato, il più regale. Non casuale dunque il suo impiego in questa circostanza.
È un’opera che ha una sua precisa e autonoma valenza artistica, per le soluzioni estetiche adottate, ma anche per i modi con cui l’elemento simbolico ha trovato elaborazione: formulazioni capaci di esaltare la composizione pur sottraendola a ogni enfasi celebrativa. Il monumento è costituito dalla sagoma allungata di due donne che, dandosi le spalle, siedono su una sfera che pare sospesa nell’etere; la testa dell’una dolcemente reclinata verso quella dell’altra, guardano entrambe nella stessa direzione, ma l’altezza del loro sguardo sovrasta l’orizzonte comune e sembra andare oltre, alludere a un’altra dimensione. Nei loro volti ieratici, dai lineamenti ben tratteggiati che accennano a un sorriso, colpiscono gli occhi che paiono assorti e come proiettati verso un punto infinito. Tese le braccia, per sostenere ritto il busto in equilibrio, esse si incrociano teneramente in prossimità delle mani, che poggiano morbide, aperte sulla superficie del pianeta. I corpi sinuosi e protesi valorizzano gli elementi femminili, che il drappeggio delle vesti leggere concorre ad esaltare; richiamano alla memoria certa statuaria greca o meglio ancora alcune opere del Canova. Interessante, oltre il ventre, lo snodo delle gambe, nella cui postura aperta ma elegante sembra sciogliersi la tensione della parte sovrastante. Appena appoggiate alla tonda superficie quelle dell’una, mentre quelle dell’altra in procinto di scendere o forse graziosamente scivolare, come i bambini su uno di quei palloni per saltare. L’allungamento del piede, ben oltre il limite della sfera che le sorregge, conferisce all’insieme un equilibrio dinamico, un che di mobile e al tempo stesso accogliente, come l’annuncio di un cambiamento sempre possibile, di uno stato in perenne divenire, un’apertura, un andare incontro, con uno slancio e una freschezza tutte giovanili. Sulla superficie del globo sono tratteggiate in rilievo le effigie dei monumenti storici più rappresentativi delle due città. La sfera in bronzo, sormontata dalle due figure, poggia su un perno d’acciaio lucidato a specchio che, riflettendo la luce, scompare alla vista, dando l’impressione che il pianeta, con le sue ieratiche, deliziose cariatidi, resti sospeso nell’aria o stia per levarsi in cielo, pur essendo saldamente ancorato a un solido basamento trapezoidale e irregolare di marmo bianco. Sembra evidente nella composizione l’intento di offrire elementi di identificazione che, valorizzando la storia e la memoria, orientino le risorse del territorio all’avvenire. Nelle due figure sono ravvisabili caratteri diversi ma complementari: razionale, riflessiva, concreta l’una, sognatrice, fiduciosa, intuitiva, l’altra; unite nell’accostamento del capo e nell’affettuoso incrocio, a rovescio, delle braccia, quasi le due anime di una medesima faccia, in cui si può riconoscere, come nelle opere rinascimentali, il ritratto stesso dell’artista. È interessante, e non solo per la torsione e il movimento che genera nella scultura, anche l’allungamento del collo delle due donne e l’aver entrambe i volti orientati in direzione della terza via, quella che conduce fuori dal Comune, all’autostrada, e lo mette in comunicazione con l’esterno, con il resto del Paese. Segno di apertura verso nuovi orizzonti, indicazione di un altrove, avvertimento di altre dimensioni, accoglienza, che trova espressione anche nella postura delle gambe; orientate coi loro ginocchi secondo traiettorie opposte e diverse rispetto alla testa, esse tracciano in questo modo un arco a tutto tondo, un’apertura a 360 gradi. Dimensione orizzontale dunque, e verticale nell’allungamento delle figure, che vagheggia l’etrusca ‘ombra della sera’, modulo caro all’artista e ricorrente in tutta la sua produzione, nella tensione verso l’alto dei loro busti; dimensioni bilanciate dalla sfera: centro gravitazionale, terra, radici, paese, ma insieme anche pianeta, bolla che può levarsi in aria, per chissà dove. Una tensione etica oltreché estetica attraversa questa scultura, come tutta la produzione di Alessandra Urso, che non trascura mai la materia, anzi, la esalta, nella forza gentile che infonde all’insieme, nel respiro dei volumi ben calibrati, negli effetti plastici e luministici capaci di inventare, dilatare lo spazio. E ancora nell’eleganza dei corpi, nella soavità delle linee e delle superfici, nella raffinatezza di ogni dettaglio anatomico (vedi, in particolare, la delicatezza delle mani). Se dalle sagome lignee della prima stagione, alle più recenti creazioni in terracotta e alle fusioni, il mistero, l’arcano, l’inconscio, il sogno, il riferimento all’arte primitiva e alla natura, il transmorfismo, il sincretismo estetico hanno caratterizzato tanta parte delle realizzazioni scultoree di Alessandra Urso, nel monumento alle “Due Carrare” questi aspetti sembrano più attenuati. Rimane il carattere totemico, ieratico di tante sue composizioni (ma la dolcezza delle due divinità che ha messo a presidio della città, sembra essere assicurazione dei migliori auspici per la comunità), il riferimento all’arte classica e, centrale anche qui come in tutto il suo lavoro, la figurazione, che non ha nulla di realistico e si approssima invece all’astrazione. Il monumento alle Due Carrare introduce un’altra nozione di città: città del tempo, della bellezza, dell’accoglienza, dell’arte, dell’intellettualità, della cura, della salute, della solidarietà.











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